Leonardo

Fascicolo 1


L'Ideale Imperialista
di Gian Falco (Giovanni Papini)
pp. 1-3
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I am myself alone
Shakespeare


Distinguersi da’ lontani è inutile cura - distinguersi da’ prossimi (o da coloro che paion tali) è necessità di vita ed io la sento di contro ad ogni sorta d’imperialisti.
  Chiamo imperialismo quella corrente, varia di forme e di nomi, quasi omogenea di significato, che si contrappone nel pensiero e nella vita di questi giorni, alla corrente democratica, socialista, umanitaria, cristiana o cristianeggiante.
   Il contrasto è forte e palese: è fra l’individuo e la collettività, tra l’egoismo e l’altruismo, tra lo spirito di solidarietà e quello di dominazione. A seconda delle razze questo imperialismo ha preso atteggiamenti e denominazioni diverse: è pratico e realista nel mondo anglosassone con Chamberlain, i suoi mercanti e i suoi soldati — è teorico e distruttore in Germania con Nietzsche e i suoi epigoni — è letterario ed estetico in Italia con Morasso e Corradini. Le tre grandi razze occidentali, l’anglosassone attiva, la germanica pensante, la latina esteta, hanno impresso il loro particolare suggello alla comune tendenza 1
   Ogni formula di vita, ogni apologia del passato, ogni analisi di vicende si appunta e si addensa in un desiderio. Quello che più hanno gli uomini di comune si è d’essere animali


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desideranti ed io non conosco valutazione più sicura di quella ch’è fatta secondo la grandezza e la piccolezza delle voglie.
   Anche l’imperialismo, questa proclamazione nuova di un vecchissimo fatto, si riassume in un supremo desiderio: — in quello di dominazione.
   Se i nuovi banditori dell’impero celebrano la forza si è che nella loro ingenuità logica stimano ch’essa dia la vittoria, mentre questa sola è il segno della forza; se cercano di adattare, con mediocre abilità, l’eterogenee vicende della storia estetica del mondo per costruirvi l'ideale di un’arte eroica, gli è che vogliono che l’arte non faccia che celebrare le gesta dei dominatori; — se lanciano i loro dardi sonanti contro l’epidemia democratica, gli è ch’essa tende a toglier la possibilità della dominazione de’ pochi.
   La filosofia imperialista, scrive Corradini, « pone come principio la forza, come meta il trionfo degli individui e dei popoli superiori. L’Impero di questi segna l’apice della civiltà.» L'Impero Romano, il dominio inglese sono le loro patrie ideali — Cesare, Napoleone, Chamberlain, i loro uomini.
   Il loro ideale è confortato da tre illusioni: di essere individualisti, aristocratici e moderni. Non sarà grave impresa mostrar loro il contrario.
I.

   Chiunque conosca anche mediocremente le vostre idee sa bene quale sia il vostro tipo di dominazione. Anzi voi non mostrate neppur di accorgervi che n’esista un altro; che, per esempio, accanto alla dominazione per mezzo della lancia, ci sia quella dell’intelletto. La vostra concezione di forza e di dominio è essenzialmente materiale ed esteriore — come si scorge dai vostri esempi e dalle vostre ammirazioni il tipo di civiltà superiore è per voi il tipo militare, in certi casi integrato col tipo macroindustriale.
   Voi intendete cioè la potenza in senso soldatesco e saccheggiatore all’uso di Cesare e di Napoleone, che pensavano soprattutto alla schiavitù e distruzione degli uomini e alla conquista della preda.
   Voi disdegnate o dimenticate cioè la forza spirituale, la vittoria intellettuale o sentimentale.
   I vostri eroi e i vostri modelli sono dei soldati, dei condottieri con poche idee, che agiscono più che non pensano. Voi ben ricordate che il vostro Cesare temeva il pensoso Bruto e che Napoleone aborriva ogni sorta d’ideologi. Però, giacché voi ricorrete, sì spesso a quella turba di mercenari passivi che sono i fatti storici, vi ricorderò che al mondo vi sono anche delle conquiste morali.
   Quando un possente creatore d’idee racchiude nel breve cerchio de’ suoi simboli tutte le apparenze del mondo e lo rende più ricco e significante di quel che non sembri ai comuni ; quando un prodigioso evocatore di visioni e d’immagini sa rivelare agli uomini, per mezzo della bellezza, quella moltitudine di cose ch’essi vedono senza intendere, allora i nostri occhi assistono a conquiste più meravigliose di quelle di un palmo di terra o di uno. stuolo di barbari.
   E se volete qualcosa di più vicino alla realtà attiva vi ricorderò che il profeta nazareno, il sognatore giudeo, vinse senza spade e senza archi: minò il vostro impero cesareo con delle parole e dei sentimenti. Voi, da buoni lettori di Nietzsche, chiamate deboli i cristiani. Eppure essi vinsero e dominarono e voi sapete che la vittoria dà il battesimo della forza.
   Ma in voi, lo confesso, non c’è a questo proposito contraddizione, dal momento che per potenza intendete solo la potenza animale, o quella in cui l’elemento psichico è scarso e di forme più basse.
   Però, voi uomini superiori, che andate vaticinando le future grandezze delle razze, non potete salvarvi dalla taccia di barbari e d’atavici.
   Il cammino della gente umana è dalla forza dei muscoli a quella della mente, dall’azione esteriore a quella interiore, dalla scure che uccide al pensiero che illumina. La formula della nostra evoluzione, se pur ce n’è una, è l’interiorità crescente dell’uomo. L’attività psichica è andata assurgendo in ogni dove a un valore più grande, e dappertutto si scopre ove sembrava straniera. Il grande avvenimento che si compie in silenzio intorno a noi, e che darà un nuovo senso alla vita, è l’avvento del dominio dello spirito.
   Voi che volete tornare al vecchio ideale selvaggio della battaglia, del sangue, dell’oro e della femmina; che siete colpiti, voi aristocratici, come folle bestiali, dai trionfi de’ condottieri sanguinari e dei grandi macellai e guardiani di popoli, non siete che dei barbari sopravvissuti e camuffati, che celate sotto le moderne parole e le formule sonanti, il vecchio fondo bestiale dell’uomo quaternario.
   Vi proclamate individualisti e vi esaltate per le vittorie dei popoli; - vi credete aristocratici e avete dei gusti da caporale tedesco; - vi affermate superiori e ponete come meta suprema le forme più embrionali della vitalità animale.
   E non crediate che la vostra barbarie sia almeno un segno di singolarità, chè di primitivi truccati da moderni è ancor piena la terra.
   E uno de’ caratteri salienti de’ primitivi è appunto l’incapacità all’analisi ed è quella che voi mostrate a proposito della vostra idea di dominio. Se invece di farvene banditori fervorosi con gran dispendio di frasi latineggianti e di sostantivi sonori, vi foste data cura di chiarirlo, chissà che qualche dubbio non avesse turbato la vostra ferrea coscienza imperialista.
   Quello che non sapeste o voleste fare lo farò io brevemente.

II.

   Nel fatto della dominazione, più cose son da distinguere e da osservare : cioè chi domina, chi vien dominato, e i fini e gli effetti della signoria.
   Chi siano o debbano essere i dominatori non si comprende bene dalle vostre parole, chè certe volte parlate d’individui, altre di aristocrazie e talora perfin di popoli.
   La dominazione piena e libera di un solo è pura ideologia: dietro e intorno all’uomo ci sono inevitabilmente gli uomini. Il duce è la bandiera che raccoglie, la voce che esprime, la coscienza che illumina - non mai la volontà che guida. Se dietro all’individuo c’è una casta, egli non può andare contro le idee e gli interessi di essa - è soggetto a una collettività, tanto più potente quanto più ristretta. S’egli è invece faccia a faccia col popolo, dittatore improvviso o despota solitario, i suoi limiti, per esser diversi, non son minori. Quando si tratta della vita e degli averi, della fede e dell’idioma, anche il volgo si permette di avere una volontà e il più inflessibile autocrate deve tener conto di questo muto volere collettivo, se non vuol perdere ogni potere e mutare i servi in rivoltosi. Ogni dominatore è soggetto alle leggi della materia che ha nella sua mano e non bastano pochi paradossi carlyliani per non curarsi delle moltitudini.
   L’Eroe potrà permettersi il lusso ogni tanto di qualche «bel gesto dominatorio» purché non cerchi mai di far cambiare al suo branco la strada che calpesta da secoli. Se Cesare vuol portare la plebe romana alla conquista dell'impero, deve prima sedurla, piaggiarla e dimostrarle che lo fa per suo bene. Vi son dei capitani impennacchiati che vanno innanzi caracollando e credon di guidare mentre sono spinti-
   Se poi, come apparirebbe da certe vostre parole, i dominatori debbono essere addirittura delle collettività, sia piccole come l'aristocrazie, che grandi come i popoli e le razze, come vi accordate col vostro vantato e ripetuto individualismo?
   Dai dominanti passiamo ai dominati, dai padroni ai servi. Chi vien dominato e fatto schiavo è debole, meschino, idiota - inferiore, a priori, a chi gl’impone il giogo.
   Ora io non so comprendere qual divina gioia possa dare la signoria de’, piccoli e degli inferiori. Chi vuol possedere, desidera in proprietà cose belle e preziose e come avviene che voi, così aristocratici a frasi, esaltate il possesso de' deboli


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e dei bruti? Non fate lor troppo onore volendoli avere in vostra mano? Non si potrebbe un po’ sospettare della delicatezza de’ vostri gusti? Se voi disprezzate sinceramente il volgo, perchè travagliarvi perchè sia vostro? Tutto, nella vita pratica, risiede nell’intenzione ed io confesso che non vedo bene gli scopi della vostra sete dominatoria.
   Vi muove forse il comunissimo desiderio di recar benefìcio al popolo? - Ma chi può giudicare ciò che al popolo giova o nuoce? Ancor servi del vecchio pregiudizio soggettivista noi crediamo ingenuamente che ciò che a noi piace agli altri debba piacere e col nostro propandismo facciamo un tacito getto della nostra personalità. Ogni uomo ha, piccolo o vasto che sia, il suo mondo di piacevole e quello dei più non coincide certo con quello dei pochi. Ora noi non stimiamo che ciò che sentiamo: come potremmo giovare a chi non si comprende?
   Potrebbe essere anche che i creduti benefici dei dominanti fossero mossi da pietà. Ma la pietà è una forma di proiezione egoistica e si compiange negli altri ciò che si teme possa colpirci. Se i vostri eroi si commuovessero per la debolezza, la miseria, l’ignoranza s’immaginerebbero dunque come possibili deboli, poveri e ignari, il che non è certo fatto per piacere nè ad essi nè a’ loro apologisti.
   Desideran forse dominare per far del male? Ma chi cerca di nuocere altrui mostra di temerlo e dargli valore e potrebbe sembrare che i superiori temessero i loro servi. La plebe ha mali abbastanza onde riderne senza che i feroci dominatori perdano il loro tempo a fargliene ancora. Non resta dunque che l’ipotesi edonistica, cioè che i dominatori vogliano dominare per il piacere di dominare, per sentir la tensione delle redini e contemplare le smorfie de’ loro sudditi. In questo caso io non farei lor davvero i miei complimenti. La professione di vetturino o di allevatore di scimmie non mi è apparsa mai soverchiamente desiderabile. Fare il conduttore di branchi è cosa molto ideale e poetica nelle ornate pagine del Sannazzaro o del Sydney, ma divien disgustosa quando si tratti di uomini vivi.
   Perchè veramente dal vostro entusiasmo dominatorio sembra che voi non abbiate pensato mai agli effetti necessari di ogni dominio.
   Dominazione è un rapporto e, necessariamente, un rapporto tra superiori e inferiori. Ogni rapporto è un contatto e ogni contatto fra diseguali tende al livellamento. I piccoli non possono elevarsi che lentamente fino ai grandi e perciò questi debbono, per quanto in qualità di padroni, abbassarsi fino ai piccoli, farsi comprendere, farsi seguire, ridurre il loro sogno seguire, ridurre il loro sogno solitario alle strettezze della piccola realtà, in una parola adattarsi, impoverire sè stessi.
   Ogni adattamento dei grandi ai piccoli è dunque impicciolimento, ogni contatto di superiori e d’inferiori è abbassamento. La vostra dominazione che vi sembra la meta eccelsa di ogni eroe, si riduce dunque ad una diminuzione dell’individuo.
   E neppure avete pensato a un altro inevitabile effetto del dominio. Chi domina abbatte o irrita — cioè rende gli uomini o degni di pietà o bramosi di riscossa.
   Nel primo caso qualche spirito ingenuo, al quale gli storici danno il nome di generoso, cercherà di liberarli a forza di retorica o di sentimento — nel secondo qualche spirito più audace, uno Spartaco o un Garibaldi, si porrà alla loro testa per liberarli col ferro e col fuoco. In tutti e due i casi il dominatore tende a sopprimer sè stesso.
   E si pensi poi che il solo preoccuparsi degli altri, come qualcosa di staccato da noi, basta a diminuire e, col tempo, a sopprimere l’individuo. Troppe volte lo strumento divenne fine nelle mani degli uomini obliosi, perchè non sia da temere che il dominio, invece che mezzo dell’individuo, non divenga la sua ossessione.
   La catastrofe sarebbe allora nella sua pienezza, chè si vedrebbe il dominatore reso servo della stessa idea di dominio!
   Ma io non voglio più oltre spendere, contro questo ideale angusto e barbarico, la forza delle mie parole. E mi preme avvertirvi che ciò che ho detto fin qui non è prova d’inimicizia, ma necessità di separazione. Voi affermate di essere avversari della democrazia, della borghesia, della civiltà e del progresso democratico e borghese. Ora anche noi siamo feroci nemici di tali cose, ma però non siamo nè saremo con voi. All’ ideale comune e volgare di benessere spicciolo e di esistenza da formicaio non vogliamo neppur sostituire il vostro sogno brutale ed equivoco di dominazione degli uomini.
   Il nostro individualismo non è così antiquato e ristretto da aver la spada per simbolo, ma qualcosa di più forte e di più profondo, che sfugge ad ogni figurazione. Se in qualche ora di giuoco ci assale un pensiero di dominio noi non ci curiamo di questi tristi dissimili che ci attorniano, ma aspiriamo a preda più vasta e più degna: all’ Impero intellettuale di tutte l’essenze dell’universo.


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